pentola a pressione

Ho scelto questo nome per due ragioni: 1) la pentola a pressione dimezza i tempi di cottura. In un mondo che va di fretta risparmiare il 50 per cento è un indubbio vantaggio di partenza; 2) avevo una sola altra alternativa, ovvero chiamare il mio blog valvola di sfogo. Mi serviva un posto dove riversare i miei pensieri velenosi. Lanciare parole nel web anziché frecciate assassine a chi mi sta accanto può essere la valida soluzione per scongiurare l'esaurimento nervoso, condividendo malumori quasi quotidiani, sporadiche euforie ed anche qualche brontolio sommesso che, appunto, mi rende simile ad una pentola a pressione che necessita di "sfiatare".

domenica 24 marzo 2024

UNA SALITA AL MONTE BIANCO, AD UN PASSO DALLE NUVOLE

 La salita al Monte Bianco è senza dubbio un'esperienza entusiasmante e indimenticabile. 

Non serve essere particolarmente preparati a livello atletico, perché per toccare il cielo con un dito basta salire sullo SkyWay, l’impianto di risalita che conduce fino ai 3466 metri di Punta Helbronner.

La base per l’ascesa è vicina a Courmayeur, ad un tiro di schioppo da Entreves, piacevole borgo di casette in puro stile di montagna, dove ho soggiornato nel week-end (spezzo una lancia in favore dell’hotel Pilier D'Angle che è davvero una piccola bomboniera, con tanto di Spa, dove si gode di una vista stupenda).

Si parte da qui...

I biglietti si possono prenotare on line, acquistare in loco o direttamente in albergo. La salita si articola in due tappe e permette di osservare la vallata dall’alto, percorrendo la distanza tra i 1300 mt della base e i 3466 mt della vetta a bordo di un impianto a fune che sembra un incrocio tra una navicella spaziale e un gigantesco bollitore per il the. Durante la salita e la discesa la cabina, della capienza di 75 persone oltre al manovratore, ruota di 360 gradi, senza precludere nulla alla vista dell’affascinato passeggero. Non ci sono posti di serie A e serie B, si vede tutto benissimo ovunque ci si trovi.

A metà del viaggio, si arriva ad una prima stazione dalla quale si cambia mezzo.

Volendo ci si può anche fermare al passaggio intermedio, ma noi abbiamo preferito raggiungere prima la cima, Punta Helbronner, a quota 3466 mt e ridiscendere poi in un secondo tempo alla stazione più bassa, Pavillon, ad un'altitudine di 2173. In quota il freddo è pungente, l’aria sferza il viso e anche solo togliere un guanto per scattare una foto mette a dura prova la resistenza di chi, come me, ama il freddo.

Stalagtiti e raffiche gelide la fanno da padrone: noi siamo saliti intorno a mezzogiorno e, nonostante la piena giornata di sole, siamo stati accolti da una temperatura di -7 gradi, che diventano -13 percepiti.



La maestosità delle cime montuose lascia davvero senza fiato: l’occhio si perde sul Dente del Gigante, sull'Aiguille Verte, Aiguille de Rochefort, Grandes Jorasses, fino a raggiungere sullo sfondo il Monte Rosa. Innumerevoli vette conquistate nel corso degli anni da intrepidi scalatori, ammantate da un bianco sfolgorante che rende impossibile osservarle senza occhiali da sole. Si respira bene, non ci sono rumori se non quelli della natura. Anche i turisti sembrano particolarmente rispettosi della quiete: non si sentono squilli di cellulari, nessuno alza la voce. A me l’altitudine, oltre ad un leggero stordimento, ha lasciato il segno sul dispositivo fit bit che indossavo al polso, andato in tilt senza possibilità alcuna di recuperarlo. Guasto per sempre, ma nonostante il piccolo disagio ne è valsa la pena.







In virtù del gelo si ripara presto all’interno, dove sono disponibili un bistrot ed un ristorante (dove si mangia benissimo) e addirittura una libreria Feltrinelli (chissà se i libri acquistati in quota sono ancora più belli? Non ho approfittato dell’occasione, benché sia una fanatica della lettura).

Polenta e vino bianco


In cima si può restare per un’ora e mezza (ma fuori non resisterete a lungo, ve lo assicuro), tempo nel quale potrete anche approfittare della visita al rifugio Torino, posto a 3.375 metri  e raggiungibile con un ascensore che percorre 100 metri nel cuore della montagna e conduce all'attraversamento di un freddo cunicolo in pietra prima di sbucare all’esterno. 

Il cunicolo che conduce al rifugio Torino 



Al Pavillon, oltre a un'ampia area esterna dove passeggiare e una terrazza soleggiata dove ritemprare stomaco e mente, ci sono anche una serie di mostre: una riguarda la vinificazione locale con l’invecchiamento delle bottiglie nella neve, l’altra è un video che ripercorre la creazione della risalita,  l’ultima racconta il sogno di Secondino Totino Lora, 

Per realizzare lo SkyWay ci sono voluti 1521 giorni, 4 anni, 16 stagioni. Iniziato nel 2011, è stato concluso nel 2015. Quello che sembrava inarrivabile, una sorta di follia, è divenuto realtà. La montagna è stata pensata in verticale, con una fune che collega tutti al cielo. Ci sono molte immagini fotografiche che documentano i lavori e anch'esse lasciano con il fiato sospeso, pensando a chi, in un ambiente dove l'aria è rarefatta, ha lavorato appeso ad imbragature per realizzare ciò che ora permette a noi di godere di una simile esperienza.








Prima di questa impresa del terzo millennio ci aveva già pensato l’ingegnere Dino Lora Totino, di Pray, nel Biellese, a creare un primo collegamento, fino al rifugio Torino. Figlio di una famiglia di tessitori, Dino ai filati preferiva la fune d’acciaio. Il cantiere era stato aperto nel 1941, ma l’avvento della seconda guerra mondiale aveva rallentato l’opera, conclusa nel 1946 e inaugurata nel 1947. Fino a quel momento per raggiungere il rifugio Torino si impiegavano 7 ore: grazie alla sua visione futurista, invece, la salita veniva completata in pochi minuti. 




La salita allo SkyWay è davvero emozionante: addirittura c’è chi decide di sposarsi in quota, ma anche chi scende a rotta di collo sci ai piedi, lungo sentieri fuoripista non segnalati, con un’imprudenza che a me fa rabbrividire. La cosa più intrepida che io ho scelto di fare è stato sedermi qualche secondo sullo sdraio esposto alle intemperie e schioccare un bacio a mio marito sul tetto più alto d'Italia.





Al termine di questa piacevole giornata, ho realizzato che quello che l'alpinista Emilio Comici affermava corrisponde davvero a realtà: “Sulla montagna sentiamo la gioia di vivere, la commozione di sentirci buoni e il sollievo di dimenticare le miserie terrene. Tutto questo perché siamo più vicini al cielo”. 

Peccato che poi si debba ridiscendere. E. due giorni dopo la discesa, fare i conti con una tremenda influenza virale da cui sto rialzando la testa solo ora. Ma questa è un'altra storia, che con il Monte Bianco non c'entra....

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