Ruota intorno al Kanun, “Le camelie invernali”, libro di Ermal Meta (no, non è un caso di omonimia, l’autore è proprio il cantante di origini albanesi che abbiamo visto esibirsi sul palco di Sanremo), edito da La nave di Teseo.
Ermal ha scritto il suo romanzo affidando il ruolo di protagonista dell’opera a Lara, 25enne nata in Italia da genitori albanesi. Nel giugno del 2025 la giovane affronta un volo aereo diretta alla terra dei suoi avi, che non ha mai visitato.
Le manca un solo esame per concludere la scuola di giornalismo che sta frequentando: per superarlo, deve intervistare qualcuno. Lara non ha scelto un soggetto a caso, ma ha deciso di cimentarsi nell’intervista di una persona piuttosto difficile: un uomo che da 30 anni vive recluso nella sua abitazione, senza scambiare una parola con nessuno.
Aiutata dal cugino che vive in loco, Lara lo raggiunge presso la sua abitazione, dove una volta alla settimana, a turno, qualcuno gli porta al domicilio la spesa necessaria per vivere.
Quest’uomo, che tutti chiamano “il prigioniero”, vive sotto il Kanun e all’inizio non rivela nemmeno alla ragazza il suo vero nome.
Non la fa accomodare in casa, l’intervista sarà concessa con lei all’esterno dell’immobile e lui all’interno, protetto da una tenda. I lettori scopriranno la sua vera identità soltanto verso la fine del libro, quando sarà loro chiaro anche che cosa rappresenti quella sorta di straccio appeso fuori dall’uscio.
Quella del prigioniero più che un’intervista è una sorta di confessione, che parte dal 1992, anno in cui, mentre sta giocando nel cortile di casa, scompare la piccola Nina. L’incubo di ogni madre, che spinge i genitori a cercarla ovunque senza mai rassegnarsi. La bambina risulta introvabile, l’angoscia resta, ma rimane anche la speranza che prima o poi la bimba farà ritorno tra le mura domestiche.
Nina ha un fratello maggiore, Uksan, che ha un amico fidato, il giovane Samir, dal padre piuttosto violento. L’uomo, di nome Zek, ogni volta che torna a casa ubriaco picchia in maniera sistematica la moglie, che subisce passivamente le sue percosse.
Tre anni dopo la scomparsa di Nina, il padre di Uksan (non sto a dirvi il motivo, se leggerete il libro lo scoprirete da soli) uccide Zek e finisce in carcere.
Si è innescato il Kanun, sangue chiama sangue.
L’amore materno si insinua tra le righe del romanzo, fa capolino più volte da entrambe le parti delle famiglie chiamate in causa.
Viene sempre zittito dalla violenza, dal dovere di lavare l’onta con il sangue. Ma riemerge tra le pagine del libro, insieme a un forte sentimento di amicizia che si trascina appresso un amore incompreso.
Il libro di Ermal Meta lascia il segno. Ci spiega come ci siano valori che non possano essere traditi nemmeno se la famiglia ci spinge a compiere un misfatto.
Ci introduce in un dolore profondo, in comportamenti che ci sembrano barbarie ma fanno parte di determinate culture.
La vicenda pone Lara, durante il suo viaggio di rientro in Italia a missione compiuta, dinnanzi a un bivio. Vale la pena trasformare un racconto vorticoso di sentimenti in un’intervista?
O è meglio gettare le tante pagine intrise di storia e di sangue al vento, lasciandole inghiottire dai flutti del mare, conservandone il ricordo soltanto nella propria memoria e in quella di chi le ha vissute?
La motivazione di Lara alla fine passa in secondo piano, cedendo il passo ad una serie di domande senza risposte.
A me invece, questo volume ha permesso di scoprire la profondità di animo di Ermal Meta: che canti o scriva, trovo che meriti un applauso per la capacità di arrivare dritto al cuore di chi lo ascolta o lo legge.
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