Chi beve birra campa 100 anni, recitano un proverbio ed una vecchia pubblicità. Dopo aver chiuso l'ultima pagina del romanzo "La salita dei Giganti" di Francesco Casolo, edito da Feltrinelli, si potrebbe aggiungere che, talvolta, chi la birra la produce è in grado di attraversare quasi due secoli di storia.
Eugenia Menabrea, detta Genia, ha solo 6 anni quando, nel 1882, suo padre Carlo se la porta appresso in montagna, conducendola ai 2 mila metri della Mologna piccola. Nonostante sia una bambina, il papà la invita ad assaggiare un goccio della bevanda, suggellando in quel modo il passaggio del testimone da lui alla sua secondogenita.
Carlo Menabrea ha già capito che, con il suo carattere deciso e la sua intraprendenza, la figlia sarà in grado di portare avanti l'azienda di famiglia. Sarà lei a tenere le redini di una realtà dove si produce la birra che è sempre stata il pallino di suo padre Giuseppe, inizialmente commerciante di tessuti ma in seguito affermato birraio.
Carlo è malato: durante la salita Genia lo vede tossire e sputare sangue, ma mantiene il segreto sulle sue condizioni per non far preoccupare le due sorelle e la mamma, di cui la bimba porta il nome.
La saga dei Menabrea parte da questa ingombrante eredità che Genia raccoglierà dopo la scomparsa del padre. Trent'anni dopo, sarà di nuovo il momento di un'impegnativa gestione che Emilio Thedy, marito di Genia, morendo improvvisamente, lascerà a sua volta alla moglie e ai 5 figli maschi.
In mezzo c'è una storia di successo e sacrifici, che parte da Biella e tocca Gressoney, facendo tappa a Torino, Parigi, Milano. La trama scorre impetuosa: sullo sfondo eventi storici di rilievo come le esposizioni internazionali, la costruzione della Tour Eiffel, l'omicidio del re Umberto I, alternati a lutti, matrimoni e nascite di famiglia.
La birra Menabrea dalla fine del 1800 disseta i palati dei suoi estimatori: Genia da bambina voleva diventare la birraia del Monte Rosa e il suo sogno si avvererà prima di quel che si possa immaginare. Sarà grazie a lei, rimasta vedova a 35 anni e con 5 figli da crescere, se la produzione brassicola non si è mai interrotta, proseguendo fino ai giorni nostri.
Attingendo all'immenso patrimonio dell'archivio storico della dinastia dei Menabrea e consultando altre fonti, Francesco Casoli ha ricostruito le vicende della casata, romanzandole, intercalando con altri momenti coevi il passato fulgido ma pur sempre impegnativo dell'azienda. Il risultato è una narrazione scorrevole, interessante, davvero coinvolgente. La trama soddisfa la sete di curiosità e - complice anche il caldo di questi giorni - proseguendo nella lettura si viene quasi invogliati a stappare una birra fresca.
Magari proprio una Menabrea, la birra di famiglia di quella bambina cui venne raccomandato di non avere paura di mostrarsi orgogliosa.
"Perché papà?" fu la domanda della piccola. "Perché non bisogna mai vergognarsi di essere felici" le rispose il genitore.
E come dare torto a quel lungimirante padre che seppe veicolare la felicità attraverso le sembianze di una donna davvero in gamba. Una moglie e madre in grado di gestire con il giusto piglio imprenditoriale una realtà che a molti potrebbe sembrare governabile solo da esponenti del sesso maschile.
Ma, prima di tutto, una donna che ha dimostrato come, ai piedi di montagne soprannominate Giganti, appellativi con cui sono conosciuti il Cervino e le cime circostanti, non possano che crescere famiglie altrettanto imponenti.
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