pentola a pressione

Ho scelto questo nome per due ragioni: 1) la pentola a pressione dimezza i tempi di cottura. In un mondo che va di fretta risparmiare il 50 per cento è un indubbio vantaggio di partenza; 2) avevo una sola altra alternativa, ovvero chiamare il mio blog valvola di sfogo. Mi serviva un posto dove riversare i miei pensieri velenosi. Lanciare parole nel web anziché frecciate assassine a chi mi sta accanto può essere la valida soluzione per scongiurare l'esaurimento nervoso, condividendo malumori quasi quotidiani, sporadiche euforie ed anche qualche brontolio sommesso che, appunto, mi rende simile ad una pentola a pressione che necessita di "sfiatare".

lunedì 17 ottobre 2022

PER IMPARARE A PERDONARE BISOGNA CHIEDERE AIUTO A GEMMA CALABRESI MILITE

                                        

Fisicamente non somiglio a mia madre.  Io formosa e dalla figura “importante”, quasi giunonica. Lei, invece, minuta e magrissima, negli ultimi anni ancor più di quanto già lo fosse in passato. Ma se l’aspetto esteriore è completamente differente, il dubbio che io sia davvero sua figlia può insorgere quando si parla di perdono. Mia madre, a differenza mia, vede il buono ovunque. Ogni persona, anche la più becera, se si comporta in un certo modo, come dice lei “avrà avuto i suoi buoni motivi per farlo”. E merita una certa comprensione.

Io tutte queste motivazioni positive fatico ad individuarle. Mi viene molto più semplice allontanarmi da certe figure dopo averle catalogate nel mio personale e variegato mondo con l’etichetta di “stronzi da cui tenersi distante”.

Forse per questo ho letto con grande interesse “La crepa e la luce” di Gemma Calabresi Milite, edito da Mondadori, nel quale la vedova del noto commissario ripercorre la sua vita prima e dopo essersi trovata, a soli 25 anni, senza marito, con due figli piccoli ed un terzo in arrivo. 

Se avrò la fortuna di invecchiare, magari cambierò idea, come ha fatto lei. Nelle prime pagine di questo libro che ho letto  in una sola sera, Gemma confessa un sogno finora mai rivelato a nessuno: se avesse potuto, avrebbe volentieri sparato all’omicida del marito. Eppure, capitolo dopo capitolo, si assiste ad un vero cambio di registro da parte di questa donna il cui nome ne rivela la natura. Gemma, come un bocciolo di primavera, come una pietra preziosa della quale, nel libro, emerge la sfavillante unicità.

Io, se subisco un torto, non riesco a perdonare. Molti anni fa mi innamorai di una t-shirt scorta in vetrina, su cui campeggiava la scritta “Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare i loro nomi”, attribuita a JFK. Uno slogan motivante, che però non so mettere in pratica. Preferisco l’arcinoto “Chi la fa l’aspetti” dell’infanzia. Io e il perdono viaggiamo su binari differenti: io lo erogo con il contagocce, in casi estremamente eccezionali (in realtà, nei miei quasi 52 anni di vita, mai venutisi a verificare…). All'occorrenza, anziché chiamarlo in causa, preferisco sostituirlo con la vendetta.

Per Gemma, man mano mano che gli anni passavano, il dolore per la perdita non veniva meno, ma può darsi si sia affievolito lasciando spazio alla maturità, anagrafica e dei sentimenti. Così, a circa un terzo del libro, l’autrice scrive: “Da buona cristiana sapevo che i buoni cristiani perdonano”. Gemma ne era consapevole, ma non riusciva a compiere quel passo verso chi aveva reso lei vedova ed i suoi figli orfani. “Ho capito che il perdono è un dono senza contraccambio, il grazie, brava non è previsto, ed è giusto così”. 

Forse è proprio questo che mi frena: l’aver dato troppa me stessa a qualcuno che non ha saputo apprezzarlo o, peggio ancora, che mi ha sottratto tempo prezioso rendendo vano il mio impegno, mi rende impossibile metterci la fatidica pietra sopra. Altro che masso. Io in questi casi disseppellisco l’ascia di guerra. 

E questo vale in tutti i miei rapporti: affettivi, amorosi e lavorativi. 

Un amico mi dice sempre che è meglio avermi amica che nemica e io in fondo so che abbia ragione. Sono un’amica di gran cuore, ma so essere altrettanto perfida quando scopro di essere stata ingannata o tradita dalla persona di cui mi fidavo. 

Conosco i miei limiti ma non riesco a cambiare. Anche il mio maestro yoga, persona che ammiro molto, mi ha spiegato come il rancore sia un pericoloso compagno di vita, eppure a me va bene così. 

Gemma Calabresi dice che “il perdono è come un ponte, c’è chi lo percorre partendo da una parte e chi da un’altra, ma a metà strada ci si incontra, e ci si riconosce”. Io non voglio ponti nella mia vita perché temo che, arrivata a metà del percorso, dall'altra parte non trovi la campata che dovrebbe sostenermi, ma un salto nel vuoto. 

In questo non mi ha sicuramente aiutata una delusione occorsami circa tre anni fa in un rapporto d’amicizia, fatto che mi ha segnata profondamente. Prima, sono sempre stata propensa ai rapporti umani, ma da tempo ho sfiducia nel prossimo, vedo approfittatori ovunque e sono diventata molto più diffidente e selettiva. Gemma scrive che “c’è un certo modo di sentire e di pensare che interpreta il perdono come una forma di debolezza, ma io sono invece convinta che il perdono sia figlio di una forza”. Io propendo per la prima ipotesi: chi perdona è disposto a scendere ad un compromesso, rinnegando in parte le sue convinzioni originali. No, io non ci riesco, non sono pronta.

La crepa e la luce è un libro meraviglioso, che scava nel profondo, evidenziando la fragilità umana ma anche un cambio di pensiero che si fa strada nel tempo. “Ammiro chi riesce a dire subito sì – scrive la vedova Calabresi – quando sento quel sì mi chiedo se la persona che lo pronuncia è illuminata da una fede più potente della mia, che invece ci ho messo tanto tempo ad arrivare alla meta. Ma comprendo anche chi dice: No, non posso, non riesco”. 

Ecco, io per ora appartengo alla schiera di  questi ultimi. E al non posso e non riesco aggiungo anche un convinto non voglio.

Gemma ha ragione quando scrive questa frase che io trovo bellissima: “il rancore e la vendetta sono un veleno che toglie i colori del mondo”. Vero, ma io non vedo perché dovrei preoccuparmi di restituire tonalità sgargianti alla vita di chi ha scelto volontariamente di viverla in bianco e nero. Non so se la pensiate come me o come l’autrice, ma vi consiglio caldamente la lettura di questo libro. Capirete che il perdono è davvero un’arte, anch’essa da imparare e mettere da parte.

Magari, dopo aver sapientemente messo da parte (o alla porta) un buon numero di persone che non meritano di incontrarlo. Perdonatemi (!!) se elargisco cattivi consigli...

 


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