pentola a pressione

Ho scelto questo nome per due ragioni: 1) la pentola a pressione dimezza i tempi di cottura. In un mondo che va di fretta risparmiare il 50 per cento è un indubbio vantaggio di partenza; 2) avevo una sola altra alternativa, ovvero chiamare il mio blog valvola di sfogo. Mi serviva un posto dove riversare i miei pensieri velenosi. Lanciare parole nel web anziché frecciate assassine a chi mi sta accanto può essere la valida soluzione per scongiurare l'esaurimento nervoso, condividendo malumori quasi quotidiani, sporadiche euforie ed anche qualche brontolio sommesso che, appunto, mi rende simile ad una pentola a pressione che necessita di "sfiatare".

giovedì 3 novembre 2022

UNA VOLTA SOLA, STORIE DI CORAGGIO SCRITTE DA CHI HA LA BRAVURA DI SAPERLE RACCONTARE.

 


Una volta sola”, è il titolo dell’ultimo libro di Mario Calabresi edito da Mondadori nella collana Strade Blu, uscito in libreria 10 giorni fa. Una raccolta di storie differenti, che hanno un punto in comune: protagoniste dei racconti sono persone che hanno avuto il coraggio di scegliere come indirizzare la propria vita.

Una volta sola è anche la frase che mi riporta alla memoria un piacevole ricordo che risale a poco più di 18 anni fa. Rivedo me, seduta sulla sedia a dondolo nella stanza di mia figlia, che rispondo alla sua ennesima richiesta di leggere, ancora una volta, una storia a fumetti di Winnie The Pooh prima della nanna. “Dai mamma, leggimela di nuovo” mi chiedeva lei e io, speranzosa che di lì a poco avrebbe ceduto al richiamo di Morfeo, la accontentavo modulando la voce per impersonare di volta in volta Tappo, Pimpi, Tigro ed i vari figuranti del bosco dei 100 acri. “Va bene, ma una volta sola e poi dormi”.

Una volta sola è la possibilità che ci è concessa nella nostra esistenza. Non possiamo vivere due volte ed è quindi importante impegnarsi per non sprecare un solo istante della nostra vita terrena.

Scegliere di leggere la raccolta di Calabresi garantisce emozioni profonde, alternando allegria, disperazione, sconforto e speranza. Gli uomini e le donne intervistati hanno aperto il cuore dinnanzi al taccuino dell’autore, che ha pazientemente raccolto le loro storie proponendole al lettore senza nascondergli anche i dettagli meno piacevoli.

Nel libro di Calabresi molte vicende si somigliano, pur mantenendo ognuna la propria originalità. C’è la morte che si presenta al cospetto di Rachele, giovane madre colpita da un tumore al seno e incombe anche su Adriana, che ha lo sguardo assente dei malati di Alzheimer ed è amorevolmente assistita dal marito Franco. C’è la voglia di cambiare vita e rinascere che convince Claudia, moglie di un camorrista mafioso a lasciarsi alle spalle un matrimonio tossico e tornare a respirare aria pulita cambiando identità e residenza. Anche Camila e Maurizio, coppia di coniugi argentini, si trasferirà da Buenos Aires a Torino, inseguendo il sogno di un futuro migliore per i propri figli e le tappe di un viaggio dal sud America all’Italia già affrontato anni prima dal nonno Salvatore. Di famiglia si parla anche nella storia di Narciso e Fabio, due fratelli profondamente diversi: uno responsabile di aver causato dolore, l’altro impegnato a cercare di lenirlo, riparando i danni provocati dal congiunto. Erano fratelli anche Sami e Lucia, imprigionati in due sezioni dello stesso lager e mai più rincontratisi, ma vi toglierei il piacere della lettura se vi raccontassi tutte le vicende narrate. E, soprattutto, non saprei scegliere quale mi abbia impressionata maggiormente, sebbene il dramma di Laura e le quattro pagine del capitolo “la bellezza di questa vita”, insieme alla storia del sarto afgano Alì, siano grandi testimonianze di attaccamento alla vita e resilienza che hanno lasciato il segno durante la mia lettura.

Non ho l’abitudine di sottolineare i libri, ma mi piace appuntarmi a margine alcuni passaggi salienti. Uno di questi è la frase di Rosario Livatino, noto magistrato,  che affermava: “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.

Ritengo superfluo precisare che le storie di questo libro siano vere, credibili, toccanti e rispondano tutte al quesito che Calabresi si e ci pone: “Per cosa vale la pena vivere?”

Avrei mille risposte da dare all’autore, citando numerosi esempi che spaziano dall’amore (in tutte le sue sfaccettature: partner, parenti, figli), agli amici, ai panorami, ai viaggi. Credo tuttavia che quella che più potrebbe soddisfarlo sarebbe anche quella che rappresenta una delle mie ragioni di vita.

A Calabresi direi che vale la pena vivere sapendo di avere sempre un nuovo libro in attesa sul comodino. Benché, in questo caso, il dispiacere di averne già ultimata la lettura superi il piacere di averlo fatto.

Mario Calabresi avrà sempre un posto d’onore nella mia libreria. Lui e Massimo Gramellini, tra i miei autori preferiti, hanno vissuto nell’infanzia il peggior incubo di ogni bambino, la perdita di un genitore. Credo tuttavia che proprio questa privazione, insieme ad un indubbio talento, abbia permesso loro di diventare i grandi autori che oggi sono. Solo chi ha avuto il cuore ferito sa mettersi sullo stesso piano di chi vive un grande dolore, raccontandolo ad altri con un’empatia che non conosce eguali.

Oggi che mia figlia è ormai grande e le storie se vuole se le legge da sola, presterei volentieri la mia voce per leggere qualche pagina di questo libro a chi non sa godersi la vita. Non una, ma più volte, tornerei su alcuni passaggi dei racconti. Senza l’intenzione di far dormire qualcuno, bensì, al contrario, motivata dal dare una sveglia a chi, più o meno inconsapevolmente, la sua vita la sta sprecando senza avere il coraggio di fare qualcosa per cambiarla.

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