pentola a pressione

Ho scelto questo nome per due ragioni: 1) la pentola a pressione dimezza i tempi di cottura. In un mondo che va di fretta risparmiare il 50 per cento è un indubbio vantaggio di partenza; 2) avevo una sola altra alternativa, ovvero chiamare il mio blog valvola di sfogo. Mi serviva un posto dove riversare i miei pensieri velenosi. Lanciare parole nel web anziché frecciate assassine a chi mi sta accanto può essere la valida soluzione per scongiurare l'esaurimento nervoso, condividendo malumori quasi quotidiani, sporadiche euforie ed anche qualche brontolio sommesso che, appunto, mi rende simile ad una pentola a pressione che necessita di "sfiatare".

mercoledì 28 dicembre 2022

SIAMO SICURI DI ESSERE CAPACI DI ASCOLTARE LE GRIDA DI DOLORE DI UN MATTO?




Tra i doni sotto l'albero, questo Natale, ho trovato anche due libri. Uno, l'ho gustato in meno di 24 ore e credo sia un testo pieno di insegnamenti che varrebbe la pena leggere anche nelle scuole.  

Si intitola "Tutto chiede salvezza" di Daniele Mencarelli, edito da Mondadori, vincitore del premio Strega Giovani nel 2020. Un romanzo che è la narrazione, nuda e cruda, senza alcuna edulcorazione, di una settimana di detenzione dell'autore in un reparto ospedaliero di psichiatria. 

La vicenda si svolge in un contesto estivo: è il 14 giugno 1994 quando Daniele  Mencarelli incontra da vicino la pazzia. Lo fa in un letto d'ospedale dove è ricoverato per un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) a seguito di un acuto episodio di rabbia nel corso del quale ha aggredito suo padre. 

Daniele, in quello stanzone,  è circondato da altri 5 pazienti che hanno in comune con lui un disagio psichico: uno di loro ha appena cercato di dargli fuoco mentre dormiva. Prontamente spento l'inizio di incendio, a ricordo di questo sgradevole benvenuto gli resterà per qualche tempo una ciocca di capelli bruciata sul capo. 

Ma se la chioma è destinata a ricrescere, l'esperienza del TSO non è invece facilmente cancellabile, specialmente se viene vissuta in una fase della vita in cui un ragazzo dovrebbe pensare ad altro: alle vacanze, agli amori, agli amici, a come indirizzare il proprio futuro. Daniele è preda dell'angoscia e del disagio emotivo mentre i suoi amici, ignari di quanto gli sta accadendo, sono pronti a ritrovarsi la sera per tifare ai mondiali di calcio.

Il giovane ha 20 anni e una paura profonda. Ragazzo estremamente  sensibile, sa che siamo come una piuma e basta un soffio di vento perché succeda l'imprevedibile. Daniele sa che comandare al destino sia impossibile, ma è altrettanto consapevole di come la vita sia appesa ad un filo e vivere solo di speranza che il peggio non accada equivalga a convivere ogni giorno con un peso opprimente. 

Per placare quel "motore impazzito che gli gira nel petto",  come lo definisce lui, il giovane le ha provate tutte, compreso trovare rifugio nei farmaci e nelle droghe. Nella settimana di permanenza in reparto, Mencarelli scandaglierà la sua esistenza rendendosi contro che al suo fianco, in quella stanza dove la vita si mescola alla disperazione, al sudore, alla pazzia, non c'è solo un gruppo di pazienti, ma persone che, a modo loro, sono anche amiche. 

Forse, il trucco per guarire  è proprio riuscire a fare quello che lui sogna di imparare da tempo: accettare la vita, far diventare tutto normale. "I matti, i malati, vanno curati. Mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani". Eppure, a loro modo, gli infermieri Pino e Rossana (il cui nome ogni volta che l'ho letto mi ha evocato il gusto di  una dolce caramella dell'infanzia), i medici, i familiari che vanno a trovare i degenti, sono l'anello di congiunzione tra il mondo di fuori, cui appartengono i "normali" e la follia racchiusa tra quelle quattro mura. 

L'utilizzo, nella narrazione,  del dialetto romanesco rende meno asettiche le dinamiche ospedaliere, tanto che in alcuni passaggi del romanzo mi è sembrato addirittura di addentrarmi tra le voci di un mercato rionale anziché al cospetto di una detenzione forzata. 

Noi ci riteniamo normali, ma leggere questo libro ci aiuta ad avvicinarci al mondo di queste persone  che etichettiamo come pazze e invece spesso non sono troppo differenti da noi. Uomini e donne che hanno condotto un'esistenza simile alla nostra, fino a che qualche evento particolare, un lutto, un trauma o chissà cos'altro, non li ha condotti alla follia. 

Questa lettura ci insegna che possiamo aiutarli a raggiungere la salvezza invocata nel titolo se, anziché sbeffeggiarli, ci fermiamo invece ad ascoltarli, perchè può darsi che i diversi siamo noi.  A tal proposito mi sovviene una frase di Stephen Hawking, che affermava che "il problema delle persone intelligenti è che sembrano pazze alle persone stupide".  Non sembra anche a voi molto probabile che non avesse tutti i torti?

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