È intrisa di sofferenza e amore, la penna che Gino Cecchettin ha usato per scrivere, insieme a Marco Franzoso, "Cara Giulia, quello che ho imparato da mia figlia", edito da Rizzoli. Ma quella penna è anche profondamente immersa nella speranza, animata dal pensiero "Forse, se racconto al mondo quello che mi è successo, non accadrà più ad altri". Una storia toccante, drammatica, incredibile nella sua violenza e atrocità, che questo padre ha saputo raccontare nel migliore dei modi: tralasciando i dettagli cruenti che non avrebbero di certo arricchito la storia. Quei dettagli, Gino li ha lasciati alle cronache giornalistiche; a noi lettori ha invece preferito sottolineare i valori della vittima, appassionata collezionista di scatole vuote, abile disegnatrice e molto altro ancora.
Giulia in quei giorni di novembre 2023 aveva un unico obiettivo: discutere la tesi di laurea, su cui aveva lavorato tanto. L'appuntamento era previsto per il giovedì successivo, traguardo al quale non è arrivata da viva.
Gino nel libro non ha fornito nessun dettaglio morboso; non vi ho letto nessun livore (che sarebbe stato comunque giustificato) nei confronti di chi l'ha privato di una figlia meravigliosa. Invece, quello sì, ci ha presentato un approfondito resoconto dei dettagli emotivi di Giulia, una ragazza con il sorriso dipinto sul volto e la bontà nel cuore.
Il racconto di quest'uomo che in un paio d'anni ha perso dapprima la moglie, vittima di un male incurabile e poi la secondogenita colpita a morte dall'ex fidanzato, è drammatico e angosciante, molto commovente. Forse, lo è ancora di più se a leggere il libro è un genitore: siamo tutti potenziali madri e padri di altre Giulia, consapevoli che ogni giorno le nostre figlie corrono il rischio di essere vittime di un femminicidio.
Ce lo dicono le cronache, ma il nostro sesto senso ci fa vivere perennemente con le dita incrociate, sperando che quelli che sono pezzi del nostro cuore non facciano incontri sbagliati.
Gino nel libro presenta anche uno spaccato del gender gap, ma forse questa è la parte che mi ha interessata di meno. Quello che ho letto con estremo interesse, invece, è quello che traspare dal suo scritto.
La forza di un uomo che presenta un doppio credito con la vita, parte dalla sera del femminicidio, da quel maledetto sabato di novembre 2023, quando la porta della camera di sua figlia resta aperta su un letto intonso. Giulia non è rientrata a casa.
Il primo pensiero è che dopo tanto impegno negli studi sua figlia abbia deciso di svagarsi un po', ma le ore passano e Giulia non torna. E l'angoscia cresce.
Una situazione che abbiamo sicuramente provato in molti, con esiti meno infausti.
Cara Giulia è una lettera aperta alla sua bambina, nella quale questo sfortunato padre si mette a nudo mostrandoci la sua immensa forza. "La violenza sulle donne è sempre frutto della fragilità dell'uomo. E il contrario di fragilità non è forza, ma solidità" scrive Gino. E non si può certo dargli torto.
Lo leggiamo ripercorrere il passato della famiglia, quando erano ancora insieme tutti e cinque: lui, la moglie Monica e i tre figli Elena, Giulia e Davide.
Condividere la sofferenza degli ultimi istanti di vita di Monica, con tutta la famiglia riunita al suo capezzale tra le mura domestiche. Rialzarsi dopo la prima grande perdita, consapevole di avere tre figli a cui badare, un'azienda da mandare avanti. Lo scoramento, lo sconforto totale, da vivere in privato. I pianti sotto la doccia, in macchina al cimitero, per non mostrarsi sconfitto dinnanzi ai figli.
Il nuovo lutto, il senso di smarrimento e gli attacchi sui social, perché immancabili sono arrivati anche quelli. E lui, spalle larghe e testa alta, sempre avanti.
"Del dolore sto imparando una cosa: che non devi evitarlo. Se ci passi attraverso, una, due volte, ti rende più forte". Quanto è potente questa frase? E quanto deve essere solida una persona che la pronuncia e la ferma su carta?
A Gino e alla sua famiglia è stato tolto troppo. Privati del presente e del futuro, restano saldamente ancorati al passato felice. Ma Gino sa che "Ogni Giulia salvata è un risultato".
Questo libro e la fondazione dedicata a Giulia sono un fattivo contributo.
Mia figlia sapeva che volessi acquistarlo e me lo ha regalato per Natale.
Lo regalerò ad altri, lo presterò ad amici e parenti.
Farò circolare il messaggio positivo di questo papà e della sua splendida figlia, che mi piacerebbe stringere in un abbraccio come fossimo amici da sempre.
So che richiede un incredibile sforzo, ma cercherò di onorare l'appello di questo volume: "Rispondere con un sorriso anche ai drammi più schiaccianti".
Quello che mi spiace è che dietro questa perla dell'editoria ci sia una storia tanto triste.
A firma di un ragazzo che si chiama Filippo, belva violenta vittima della sua smania di possesso. Filippo ha disonorato tutto, perfino il suo nome, che significa amante dei cavalli. Lui ne aveva uno vincente tra le mani e, oltre a non avergli saputo rendere onore, l'ha addirittura oltraggiato, fermandone la corsa.
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