Raccapricciante è il primo termine che mi è venuto in mente fin dalle prime pagine di "E ho smesso di chiamarti papà", scritto da Caroline Darian ed edito da Utet. L'autrice si nasconde dietro uno pseudonimo: il suo vero cognome non è Darian, che è l'unione parziale del nome dei suoi fratelli, David e Florian.
Forse, se vi cito il nome e cognome della madre di Caroline, ovvero Gisèle Pelicot, capirete rapidamente di chi si stia parlando. Caroline è la figlia della donna francese il cui caso ha indignato il mondo intero. Violentata per almeno dieci anni dal marito Dominique, che la stordiva con cocktail di farmaci per annientarla completamente e lasciare che uomini perfettamente sconosciuti, reclutati in rete, abusassero di lei. Dominique non lo faceva per soldi, ma per puro voyeurismo.
Nessuno dei familiari ha mai collegato le amnesie, la stanchezza e i vari malesseri di Gisèle all'abuso di farmaci di cui tutti, inclusa la vittima, erano completamente all'oscuro.
Se Dominique, nel novembre 2020, non fosse stato sorpreso in un supermercato francese a filmare di nascosto sotto le gonne di alcune clienti, chissà quanto a lungo i suoi reati sarebbero stati impuniti. Invece, è bastata una denuncia e la verifica da parte delle autorità del suo cellulare per scoperchiare il vaso di Pandora dal quale sono iniziate a diffondersi migliaia di immagini e video disgustosi. Scatti e riprese dietro ai quali c'era un'unica firma: quella di Dominique, insospettabile padre e marito che con Gisèle condivideva da oltre 50 anni una vita che a tutti sembrava apparentemente normale.
Forse il termine raccapricciante che ho utilizzato all'inizio non è abbastanza esaustivo per rendere l'idea della situazione in cui la famiglia di Gisèle è stata catapultata. Comunque si abbina alla perfezione all'aggettivo stomachevole: tutta la vicenda è un teatrino degli orrori in cui Dominique, come un perfido Mangiafuoco, manovra le sue marionette.
E allora come si fa a non rinnegare l'esistenza di un marito e di un padre che si è macchiato di simili reati? Certamente è inevitabile trasformare un amore coniugale e filiale in un forte odio, animato da rancore e disgusto. Dominique è stato fermato, ma le sue malefatte non sono terminate. Dal carcere dove è rinchiuso non cessa di provocare dolore, inviando alla moglie lettere dal chiaro intento manipolatorio, in cui si dipinge come una vittima che, sono parole sue, "continua ad amare la donna della mia vita".
Ci vuole coraggio e una certa faccia tosta per definire amore una simile perversione, ma è palese che quest'uomo sia profondamente malato. E mentre Gisèle cerca in qualche modo di giustificare il marito, Caroline, incredula dinnanzi alle immagini che ritraggono la madre inerme come una bambola inanimata, matura una ferma decisione: prendere le distanze da quell'uomo che sta distruggendo la famiglia.
La rimozione è netta e perentoria: innanzitutto Caroline cambia il nome del figlio Tom Jean Dominique in Tom Jean David. Fin da subito annulla ogni tipo di contatto fra lei e il padre incarcerato, lottando fino allo stremo delle forze per garantire a sua madre un processo equo che le consenta di ricostruirsi una vita.
Caroline comprende che quanto accaduto la sta allontanando sempre più da Gisèle, ma dopo un forte esaurimento nervoso (chi manterrebbe la sanità mentale se gli accadesse un evento del genere?) decide che, di quanto successo, non ci sia nulla per cui lei, sua madre e i suoi fratelli debbano vergognarsi.
Madre e figlia decidono di rendere pubblico il processo, svoltosi a porte aperte da fine 2024. Circa 4 mesi di udienze in cui gli organi di informazione sono sempre stati i benvenuti: sono oltre 50 gli uomini, di ogni età e stato sociale, imputati di aver partecipato agli abusi, avvenuti in più ambienti. Anche a casa di Caroline, mentre lei si trovava in vacanza con marito e figlio.
"Sento il peso schiacciante di un doppio fardello - dichiara Caroline - sono la figlia della vittima ma anche del suo carnefice". E in quello che è una sorta di diario (che inizia con il giorno della scoperta della serie di reati di cui il suo congiunto si è macchiato fino ad arrivare alla fine del processo con il verdetto di condanna), Caroline ci conduce quasi per mano sulla soglia dell'abisso che le si è aperto sotto i piedi.
Un baratro nel quale precipita giorno dopo giorno, aggrappandosi ai ricordi del padre perfetto che lei pensava di avere: un uomo che gioiva per i successi dei suoi figli, che sembrava un nonno invidiabile, che si è preso amorevolmente cura dei suoi figli. Una figura che lei ha amato tanto, fino al giorno in cui la sua mostruosità si è manifestata.
Non deve essere facile affrontare una situazione del genere. Men che meno se convivi con il dubbio che tuo padre abbia abusato anche di te, dopo che gli inquirenti ti hanno mostrato immagini in cui riposi in una posizione inconsueta e sei immortalata in un sonno profondo decisamente anomalo, dato che abitualmente lo hai molto leggero.
E così il tarlo inizia ad insinuarsi nella sua mente: avrà drogato anche me? Avrà abusato del mio corpo o lo avrà ceduto ad altri per soddisfare la sua mente malata?
Caroline ferma su carta i suoi pensieri, alternandoli con lettere immaginarie, mai consegnate, in cui scrive al padre esprimendo le sue convinzioni e perplessità. E la visibilità mediatica che lei e la madre ottengono non è certo dettata da fini scandalistici o per manie di protagonismo, bensì per far sentire le vittime ascoltate, credute e supportate.
Perché esistono padri di cui andare orgogliosi, altri di cui vergognarsi. Ed essere figli che appartengono ad una o all'altra categoria non è questione di scelte, ma solo di fortuna.
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