pentola a pressione

Ho scelto questo nome per due ragioni: 1) la pentola a pressione dimezza i tempi di cottura. In un mondo che va di fretta risparmiare il 50 per cento è un indubbio vantaggio di partenza; 2) avevo una sola altra alternativa, ovvero chiamare il mio blog valvola di sfogo. Mi serviva un posto dove riversare i miei pensieri velenosi. Lanciare parole nel web anziché frecciate assassine a chi mi sta accanto può essere la valida soluzione per scongiurare l'esaurimento nervoso, condividendo malumori quasi quotidiani, sporadiche euforie ed anche qualche brontolio sommesso che, appunto, mi rende simile ad una pentola a pressione che necessita di "sfiatare".

venerdì 18 aprile 2025

IL FLOP DI DICKER. PERCHE' ANCHE I MIGLIORI, OGNI TANTO, SBAGLIANO.


Ho letto quasi tutti i libri di Dicker, fatta eccezione per "La Tigre" e "Le colpe dei nostri padri".

Indistintamente, tutti mi sono piaciuti, uno più dell'altro, Per questo, ingenuamente pensavo che anche l'ultima fatica  dell'autore, il romanzo "La catastrofica visita allo zoo", edito da La Nave di Teseo come tutti i precedenti, mi avrebbe piacevolmente impressionata. 

Tra l'altro, è stato pubblicato nel mese di marzo ma figura già in cima alle classifiche dei libri più venduti di questo periodo. Anche se, ora, mi viene il dubbio che capitanare la graduatoria possa semplicemente  voler dire che molti abbiano comprato il libro. Non che sia piaciuto a tutti gli acquirenti.  

Io sono andata sul sicuro, memore delle precedenti esperienze, Ma, anche se avessi letto la recensione che ho poi trovato in rete una volta conclusa la lettura, mi sarei lasciata illudere. La definizione del libro è infatti quella di "un romanzo avvincente e sorprendente, capace di mescolare suspense, ironia e riflessione".

Per quanto concerne l'ironia, è vero: è frequente. Ma si tratta di un'ironia piuttosto puerile. Io ho sorriso soltanto verso la fine, giunta al capitolo della recita teatrale, ma non mi sono certamente sganasciata dalle risate. Invece, della suspense, a mio avviso, non c'è nemmeno l'ombra.

Perlomeno, la spasmodica ricerca di un colpevole non ha nulla a che vedere con i fiumi di adrenalina che avevano caratterizzato le precedenti pubblicazioni dello scrittore svizzero. Infine, riguardo agli spunti di riflessione, il volume mi ha offerto gli stessi spunti che avrei trovato ascoltando i discorsi di altri viaggiatori su un qualsiasi mezzo di trasporto oppure sfogliando le pagine di un quotidiano. 

In chiusura, Dicker spiega di aver voluto scrivere un libro che fosse alla portata di tutti, dal bambino di 7 anni al centenario. Lo ha fatto per invogliare alla lettura tante persone che invece vede sprecare il loro tempo correndo dietro alle immagini che scorrono sugli smartphone. Ho una figlioccia dodicenne e due genitori che hanno superato la soglia degli 80 anni, ma ci sono tanti libri migliori dei quali consiglierei loro la lettura, non il suo. 

La mia impressione invece è che, dopo tanti volumi all'insegna del giallo, a Dicker sia stato chiesto di cimentarsi in qualcosa di insolito, per stupire la platea. Ha accettato una sfida che non era nelle sue corde, scrivendo un libro che ho trovato esageratamente infantile e non certo per l'età dei protagonisti. 

Tutto ruota intorno ad una classe di bambini "speciali", che frequentano una classe "speciale", istruiti dalla loro maestra, la signorina Jennings. Sono collocati in una sede vicina ad una scuola di alunni "normali".

Gli speciali sono soltanto 6: 5 maschi e Joséphine, unica femmina, che è la voce narrante del libro. Joséphine, ormai adulta, racconta quanto realmente accaduto  durante la visita allo zoo di molti anni prima, una mattina di dicembre. 

Lo fa partendo da un episodio catastrofico quanto quella gita: l'allagamento della scuola degli speciali, scoperto un lunedì mattina. 

Tra battibecchi genitoriali, incomprensioni e termini che ai bambini sono praticamente sconosciuti, i piccoli si calano nel ruolo di  investigatori per scoprire chi abbia reso inagibile la loro classe lasciando aperti tutti i rubinetti. Trovano una valida compagna di indagine nella nonna di uno di loro, escludendo via via i potenziali sospetti. 

Nel romanzo, che si legge rapidamente perché ha poco più di 20 capitoli, ciascuno di poche pagine, si parla anche di democrazia e di rispetto delle idee del prossimo, Credo di esercitare il mio democratico diritto di critica mettendo il pollice verso su questo libro, esattamente come ho quasi osannato tutte le altre opere dell'autore che meritavano il mio giudizio positivo. 

Come si dice, non tutti i gusti sono alla menta, quindi sicuramente a qualcuno questo libro piacerà. E io sarò contenta per lui/lei, che avrà investito bene il suo tempo ed il suo denaro.  

Non so se, come gli altri romanzi di Dicker, anche questo sarà tradotto in 40 lingue. 

Tuttavia, siccome l'autore è svizzero ma nella versione nostrana la traduzione è opera di una professionista italiana, lancio un appello. Se il testo deve essere letto anche da bambini che hanno tutto da imparare, cerchiamo di offrire loro, oltre a suspense, ironia e riflessione, anche le basi della corretta grammatica italiana.

A pagina 24 ho infatti riscontrato un madornale errore, che purtroppo si sta diffondendo rapidamente sulla carta stampata. Lo leggo spesso e viaggia a braccetto con un altro obbrobrio: apposto scritto invece di "a posto". 

Chiariamo una volta per tutte: a fianco, vuol dire a lato di. Affianco, invece, è il participio passato del verbo affiancare. Affianco una persona in auto, ma se cammino a lato di qualcuno, gli sono a fianco (al limite di fianco)

E la scuola degli speciali si trova a fianco del parco, non certo affianco, come è scritto. 

Altrimenti, ad essere catastrofica, non è sola la visita allo zoo, ma anche la traduzione del libro. 

Un secondo appello, invece, va all'amato Dicker. Che si rimetta subito al lavoro, per regalarci un'altra avvincente vicenda che abbia lo stesso stile narrativo delle precedenti. 

Uno scivolone può succedere a chiunque e glielo si perdona, ci mancherebbe. A patto che non ripeta l'errore e torni ad essere quel Joel Dicker che abbiamo conosciuto in passato. 

martedì 15 aprile 2025

IO UCCIDO DI GIORGIO FALETTI. UNA PIACEVOLE SCOPERTA


Fino a qualche settimana fa, non avevo mai letto un libro di Giorgio Faletti.

Non so perché: eppure avevo sentito parlare a lungo del suo primo successo editoriale, intitolato “Io uccido”, inserito a pieno titolo nei best sellers, data la vendita di oltre 5 milioni di copie.

Mi ero ripromessa di acquistarlo. Poi, infatuata da altre centinaia di titoli accattivanti pubblicati nel frattempo, l’avevo relegato nella lista dei desideri senza darci più di tanto peso.

Sono passati oltre 20 anni dalla sua prima edizione, risalente al 2002 per Baldini & Castoldi e soltanto recentemente mi sono lasciata conquistare da questo fantastico thriller noir, complice anche il fatto che mia cugina ne custodisse una copia nella sua libreria.

Ambientato nel Principato di Monaco, “Io uccido” vede un incredibile dispiego di forze dell’ordine, impegnate a dare la caccia ad un sanguinario assassino. Un killer che si prende beffa di loro disseminando indizi preceduti, ad ogni omicidio, da una telefonata delirante in diretta a Jean-Loup Verdier, conduttore di una popolare trasmissione di Radio Monte Carlo.

Il primo annuncio suona quasi come uno scherzo. Tuttavia, l’indomani, su una barca vengono rinvenuti i primi due cadaveri: si tratta di un pilota campione di Formula 1 e della sua compagna, una campionessa di scacchi. Tutti e due sono stati assassinati e i loro volti sono stati asportati, quali macabri trofei dell’avvenuto scempio.

Indagano sull’accaduto l’agente speciale dell’FBI Frank Ottobre, temporaneamente in congedo dopo il suicidio della moglie e il commissario di Polizia Nicolas Hulot. Insieme a loro, un team di uomini in divisa supportati da un ragazzo autistico, Pierrot, mascotte della radio dotato di un’incredibile memoria musicale. Questo suo talento si rivelerà molto utile per dipanare la matassa, fornendo preziose indicazioni interpretative per quanto concerne gli indizi che volutamente l’assassino fornisce in radio.

Sembra quasi che l’omicida voglia essere fermato, ma acciuffarlo non è così semplice. 

Soprattutto, la trama è costruita quasi si trattasse di una sorta di scatola cinese: ogni porta che si apre presenta al lettore un panorama differente. Vengono aggiunti personaggi, le ambientazioni degli omicidi sono diverse e, man mano che cresce la suspence, aumenta anche il tifo del lettore affinché Frank Ottobre riesca a individuare il colpevole. 

A complicare la vicenda, che getta nel panico un luogo dove fino a quel momento non era mai successo nulla di tanto atroce, è il fatto che le vittime non abbiano prerogative comuni fra di loro. Mentre le indagini proseguono, il numero dei delitti aumenta, così come la pressione nei confronti di Frank Ottobre. 

Riuscirà il nostro eroe a individuare il colpevole? Lo scopriremo quasi 700 pagine e numerosi altri omicidi dopo, ma l’entusiasmo per la risoluzione del caso e lo stupore nell’apprendere l’identità dell’omicida confermeranno la spettacolare vena narrativa di Faletti.

Non sempre la top ten del panorama letterario incontra i miei gusti. In questo caso, addirittura, ci sono voluti oltre 20 anni prima che potessi confermare che il numero di copie del libro vendute fosse la testimonianza di un vero talento letterario.

Come ho già detto altre volte, i libri non hanno scadenza e “Io uccido” ne è la prova.

Confesso che ora sono curiosa di leggere altri titoli dello stesso autore, magari senza attendere troppo a lungo. Devo infatti verificare se al compianto Faletti calzassero a pennello sia il noto “giumbotto” del Drive In, che il premio riconosciuto dalla critica a Sanremo 1994 (dove giunse secondo con la canzone Signor Tenente) ma anche gli applausi di un incredibile numero di lettori.

Sugli altri titoli non posso ancora esprimermi, ma di certo posso affermare che “Io uccido” li meriti tutti.

giovedì 20 marzo 2025

QUANDO IL MALE SI ANNIDA TRA LE MURA DOMESTICHE. L'ABERRANTE STORIA DI CAROLINE


Raccapricciante è il primo termine che mi è venuto in mente fin dalle prime pagine di "E ho smesso di chiamarti papà", scritto da Caroline Darian ed edito da Utet. L'autrice si nasconde dietro uno pseudonimo: il suo vero cognome non è Darian, che è l'unione parziale del nome dei suoi fratelli, David e Florian.

Forse, se vi cito il nome e cognome della madre di Caroline, ovvero Gisèle Pelicot, capirete rapidamente di chi si stia parlando. Caroline è la figlia della donna francese  il cui caso ha indignato il mondo intero. Violentata per almeno dieci anni dal marito Dominique, che la stordiva con cocktail di farmaci per annientarla completamente e lasciare che uomini perfettamente sconosciuti, reclutati in rete, abusassero di lei. Dominique non lo faceva per soldi, ma per puro voyeurismo. 

Nessuno dei familiari ha mai collegato le amnesie, la stanchezza e i vari malesseri di Gisèle all'abuso di farmaci di cui tutti, inclusa la vittima, erano completamente all'oscuro. 

Se Dominique, nel novembre 2020, non fosse stato sorpreso in un supermercato francese a filmare di nascosto sotto le gonne di alcune clienti, chissà quanto a lungo i suoi reati sarebbero stati impuniti. Invece, è bastata una denuncia e la verifica da parte delle autorità del suo cellulare per scoperchiare il vaso di Pandora dal quale sono iniziate a diffondersi migliaia di immagini e video disgustosi. Scatti e riprese dietro ai quali c'era un'unica firma: quella di Dominique, insospettabile padre e marito che con Gisèle condivideva da oltre 50 anni una vita che a tutti sembrava apparentemente normale.

Forse il termine raccapricciante che ho utilizzato all'inizio non è abbastanza esaustivo per rendere l'idea della situazione in cui la famiglia di Gisèle è stata catapultata. Comunque si abbina alla perfezione all'aggettivo  stomachevole: tutta la vicenda è un teatrino degli orrori in cui Dominique, come un perfido Mangiafuoco, manovra le sue marionette. 

E allora come si fa a non rinnegare l'esistenza di un marito e di un padre che si è macchiato di simili reati? Certamente è inevitabile trasformare un amore coniugale e filiale in un forte odio, animato da rancore e disgusto. Dominique è stato fermato, ma le sue malefatte non sono terminate. Dal carcere dove è rinchiuso non cessa di provocare dolore, inviando alla moglie lettere dal chiaro intento manipolatorio, in cui si dipinge come una vittima che, sono parole sue, "continua ad amare la donna della mia vita".

Ci vuole coraggio e una certa faccia tosta per definire amore una simile perversione, ma è palese che quest'uomo sia profondamente malato. E mentre Gisèle  cerca in qualche modo di giustificare il marito, Caroline, incredula dinnanzi alle immagini che ritraggono la madre inerme come una bambola inanimata, matura una ferma decisione: prendere le distanze da quell'uomo che sta distruggendo la famiglia. 

La rimozione è netta e perentoria: innanzitutto Caroline cambia il nome del figlio Tom Jean Dominique in Tom Jean David. Fin da subito annulla ogni tipo di  contatto fra lei e il padre incarcerato, lottando fino allo stremo delle forze per garantire a sua madre un processo equo che le consenta di ricostruirsi una vita. 

Caroline comprende che quanto accaduto la sta allontanando sempre più da Gisèle, ma dopo un forte esaurimento nervoso (chi  manterrebbe la sanità mentale se gli accadesse un evento del genere?) decide che, di quanto successo, non ci sia nulla per cui lei, sua madre e i suoi fratelli debbano vergognarsi.

Madre e figlia decidono di rendere pubblico il processo, svoltosi a porte aperte da fine 2024. Circa 4 mesi di udienze in cui gli organi di informazione sono sempre stati i benvenuti: sono oltre 50 gli uomini, di ogni età e stato sociale,  imputati di aver partecipato agli abusi, avvenuti in più ambienti. Anche a casa di Caroline, mentre lei si trovava in vacanza con marito e figlio. 

"Sento il peso schiacciante di un doppio fardello - dichiara Caroline - sono la figlia della vittima ma anche del suo carnefice". E in quello che è una sorta di diario (che inizia con il giorno della scoperta della serie di reati di cui il suo congiunto si è macchiato fino ad arrivare alla fine del processo con il verdetto di condanna), Caroline ci conduce quasi per mano sulla soglia dell'abisso che le si è aperto sotto i piedi. 

Un baratro nel quale precipita giorno dopo giorno, aggrappandosi ai ricordi del padre perfetto che lei pensava di avere: un uomo che gioiva per i successi dei suoi figli, che sembrava un nonno invidiabile, che si è preso amorevolmente cura dei suoi figli. Una figura che lei ha amato tanto, fino al giorno in cui la sua mostruosità si è manifestata.

Non deve essere facile affrontare una situazione del genere. Men che meno se convivi con il dubbio che tuo padre abbia abusato anche di te, dopo che gli inquirenti ti hanno mostrato immagini in cui riposi in una posizione inconsueta e sei immortalata in un sonno profondo decisamente anomalo, dato che abitualmente lo hai molto leggero.

E così il tarlo inizia ad insinuarsi nella sua mente: avrà drogato anche me? Avrà abusato del mio corpo o lo avrà ceduto ad altri per soddisfare la sua mente malata?

Caroline ferma su carta i suoi pensieri, alternandoli con lettere immaginarie, mai consegnate, in cui scrive al padre esprimendo le sue convinzioni e perplessità. E la visibilità mediatica che lei e la madre ottengono non è certo dettata da fini scandalistici o per manie di protagonismo, bensì per far sentire le vittime ascoltate, credute e supportate. 

Perché esistono padri di cui andare orgogliosi, altri di cui vergognarsi. Ed essere figli che appartengono ad una o all'altra categoria non è questione di scelte, ma solo di fortuna. 

sabato 22 febbraio 2025

RIECCOLA! LA PERRIN RITORNA CON UN NUOVO AVVINCENTE ROMANZO: TATA'

Ci sono termini che appartengono al nostro vocabolario e che usiamo nella quotidianità: ad esempio rivisto, riascoltato, rimarcato.

Ma rimorto no, non esiste. Perché, cosi come si vive una volta sola, si muore anche una volta sola (a meno che non si creda nella reincarnazione). 
Eppure, in Tatà di Valerie Perrin, nuovo romanzo dell''autrice francese edito da Edizioni e/o, da settimane in vetta alle classifiche dei libri più venduti, questo termine compare fin dalle prime pagine, oltre che nella quarta di copertina. 
Tutto inizia il 21 ottobre 2010, quando Agnès riceve la telefonata con cui il capitano Cyril Rampin della gendarmeria di Gueugnon le annuncia il decesso della zia paterna Colette.  La nipote si stupisce, non crede alle proprie orecchie: Colette è morta 3 anni prima, non può essere nuovamente deceduta.
Niente fantascienza, niente magia.
Quello che è successo è tutto vero. Colette ha appena lasciato questa terra, per cause naturali.
Ma allora di chi è il corpo racchiuso nella bara del funerale precedente?
Quali misteri aleggiano intorno al piccolo paesino di Gueugnon?
Per rispondere a queste domande Agnès torna nei luoghi dove, in compagnia dell'amata zia  (da cui il titolo del libro: Tatà in francese è un termine affettuoso che corrisponde a zietta) ha trascorso le vacanze della sua infanzia.
Mentre ritrova i vecchi amici, scopre anche un segreto inconfessabile, raccontato dalla viva voce di Colette con una serie di registrazioni su cassette custodite in una valigia. 
Agnès è curiosa: le sembrava di conoscere bene Tatà ma, indagando,  viene a conoscenza di aspetti a lei ignoti della vita di quella cara parente. Le sue ricerche la impegnano a tempo pieno e  sono una sorta di balsamo per lenire le ferite del cuore provocatele dall'abbandono dell'ex marito per una nuova fiamma.
Il libro è scorrevole e Agnès ci conduce per mano attraverso una vicenda ricca di intrigo, che ammalia il lettore dalla prima all'ultima pagina.
Pochi scrittori hanno la capacità letteraria di Valérie Perrin. Chiudendo il libro è automatico pensare di congedarsi da lei e dai suoi personaggi con un benaugurale "à bientôt".
Perché, già che si vive una volta sola, è bene non stare troppo a lungo lontani dalle avvincenti storie che nascono dalla fervida penna di questa meravigliosa autrice francese.

martedì 14 gennaio 2025

I DUBBI DI CLAUDIA, LA CERTEZZA INTERPRETATIVA DI MARIA STELLA

 


  

Photo Alessandro Lercara

Intensa, appassionata, magnifica. Questi tre aggettivi rendono bene l’idea di come l'attrice, speaker, educatrice teatrale e doppiatrice Maria Stella Sturiale abbia interpretato, sabato scorso sul palco del cinema teatro Borgo Nuovo di Rivoli, lo spettacolo “Qualcosa di lei”, scritto da Rosa A.Menduni e Roberto De Giorgi, magistralmente diretto da Tiziana Sensi.

Dopo aver calcato il palcoscenico torinese del teatro Vittoria ed in attesa di  approdare su nuove assi, Maria Stella ha proposto alla platea rivolese il monologo nel quale interpreta un caleidoscopio di personaggi, passando con facilità estrema dal ruolo di Claudia a quello di Francesco, senza dimenticare Romina, Viviana e altre figure che hanno comunque un loro perché nella storia.

La trama ruota intorno ad un rapporto di coppia, ma non è affatto scontata: Claudia e Francesco si innamorano, vengono travolti da un’incontenibile passione fisica e mentale. Ma, come spesso accade, passato l’entusiasmo iniziale affiorano piccoli screzi, che producono incontenibili lamentele e trasformano quello che fino a quel momento era tutto rosa in un grigio sempre più cupo.

Tutto prende avvio da un tatuaggio cancellato sul braccio di Francesco e da un nome di donna pronunciato dall’uomo nel sonno: Minni. Diminutivo di chi? E che ruolo ha avuto questa figura femminile nella vita di Francesco? Perché, nonostante la complicità che si è instaurata, lui non ne vuole parlare a Claudia?

Photo Alessandro Lercara

Piccoli tarli si insinuano nella mente di Claudia e danno il via ad un moto perpetuo di dubbi, che sfociano inevitabilmente in aggressività, minando la storia a due.

Sarebbe comunque sbagliato pensare di assistere alla messa in scena della disfatta di un rapporto. In “Qualcosa di lei” c’è molto di più. Ci sono rabbia, rancore, aggressività, mescolati ad arte con tenerezza, emozione, sesso. Ci sono dubbi e certezze, allegria e cupezza. Soprattutto, c’è un altalenante cambio di scena tra finzione e realtà: inizialmente lo spettatore rimane spaesato, sembra quasi perdere il filo della trama. 

Cosa c’è dietro a quell’incessante trillo telefonico? E quel continuo cambio d’abito di Claudia equivale forse allo spogliarsi di ogni inibizione tipico dell’inizio di ogni rapporto affettivo per poi rivestirsi al fine di proteggere il proprio corpo e la propria anima ferita? 

Il teatro è una forma d’arte ed ognuno lo interpreta a piacimento: così come dinnanzi ad un quadro ciascuno percepisce sfumature diverse, anche dalla poltrona della platea le emozioni sono soggettive.

Photo Alessandro Lercara

Innegabile, comunque, è che l’interpretazione scenica dell’attrice sia stata intensa, appassionata, magnifica, oltre che molto coinvolgente. Se capita dalle vostre parti, vi consiglio di non perdervi l’allestimento, ne vale davvero la pena.

Per essere sempre aggiornati sulle rappresentazioni teatrali, potete seguire Maria Stella sulla pagina Instagram della sua associazione culturale lariadelcontinente o contattarla via mail e telefonicamente: lariadelcontinente@gmail.com 3356173302.





sabato 28 dicembre 2024

GIULIA E GINO, DUE SCONOSCIUTI CHE ORA SENTO AMICI


È intrisa di sofferenza e amore, la penna che Gino Cecchettin ha usato per scrivere, insieme a Marco Franzoso, "Cara Giulia, quello che ho imparato da mia figlia", edito da Rizzoli. 
Ma quella penna è anche profondamente immersa nella speranza, animata dal pensiero "Forse, se racconto al mondo quello che mi è successo, non accadrà più ad altri". 

Una storia toccante, drammatica, incredibile nella sua violenza e atrocità, che questo padre ha saputo raccontare nel migliore dei modi: tralasciando i dettagli cruenti che non avrebbero di certo arricchito la storia. Quei dettagli, Gino li ha lasciati alle cronache giornalistiche; a noi lettori ha invece preferito sottolineare i valori della vittima, appassionata collezionista di scatole vuote, abile disegnatrice e molto altro ancora. 

Giulia in quei giorni di novembre 2023 aveva un unico obiettivo: discutere la tesi di laurea, su cui aveva lavorato tanto. L'appuntamento era previsto per il giovedì successivo, traguardo al quale non è arrivata da viva.

Gino nel libro non ha fornito nessun dettaglio morboso; non vi ho letto nessun livore (che sarebbe stato comunque giustificato) nei confronti di chi l'ha privato di una figlia meravigliosa. Invece, quello sì, ci ha presentato un approfondito resoconto dei dettagli emotivi di Giulia, una ragazza con il sorriso dipinto sul volto e la bontà nel cuore. 

Il racconto di quest'uomo che in un paio d'anni ha perso dapprima la moglie, vittima di un male incurabile e poi la secondogenita colpita a morte dall'ex fidanzato, è drammatico e angosciante, molto commovente.  Forse, lo è ancora di più se a leggere il libro è un genitore: siamo tutti potenziali madri e  padri di altre Giulia, consapevoli che ogni giorno le nostre figlie corrono il rischio di essere vittime di un femminicidio. 
Ce lo dicono le cronache, ma il nostro sesto senso ci fa vivere perennemente con le dita incrociate, sperando che quelli che sono pezzi del nostro cuore non facciano incontri sbagliati. 

Gino nel  libro presenta anche uno spaccato del gender gap, ma forse questa è la parte che mi ha interessata di meno. Quello che ho letto con estremo interesse, invece, è quello che traspare dal suo scritto. 
La forza di un uomo che presenta un doppio credito con la vita, parte dalla sera del femminicidio, da quel maledetto sabato di novembre 2023, quando la porta della camera di sua figlia resta aperta su un letto intonso. Giulia non è rientrata a casa.
Il primo pensiero è che dopo tanto impegno negli studi sua figlia abbia deciso di svagarsi un po', ma le ore passano e Giulia non torna. E l'angoscia cresce. 
Una situazione che abbiamo sicuramente provato in molti, con esiti meno infausti.

Cara Giulia è una lettera aperta alla sua bambina, nella quale questo sfortunato padre si mette a nudo mostrandoci la sua immensa forza. "La violenza sulle donne è sempre frutto della fragilità dell'uomo. E il contrario di fragilità non è forza, ma solidità" scrive Gino. E non si può certo dargli torto. 

Lo leggiamo ripercorrere il passato della famiglia, quando erano ancora insieme tutti e cinque: lui, la moglie Monica e i tre figli Elena, Giulia e Davide. 
Condividere la sofferenza degli ultimi istanti di vita di Monica, con tutta la famiglia riunita al suo capezzale tra le mura domestiche. Rialzarsi dopo la prima grande perdita, consapevole di avere tre figli a cui badare, un'azienda da mandare avanti. Lo scoramento, lo sconforto totale, da vivere in privato. I pianti sotto la doccia, in macchina al cimitero, per non mostrarsi sconfitto dinnanzi ai figli. 
Il nuovo lutto, il senso di smarrimento e gli attacchi sui social, perché immancabili sono arrivati anche quelli. E lui, spalle larghe e testa alta, sempre avanti. 

"Del dolore sto imparando una cosa: che non devi evitarlo. Se ci passi attraverso, una, due volte, ti rende più forte". Quanto è potente questa frase? E quanto deve essere solida una persona che la pronuncia e la ferma su carta?

A Gino e alla sua famiglia è stato tolto troppo. Privati del presente e del futuro, restano saldamente ancorati al passato felice. Ma Gino sa che "Ogni Giulia salvata è un risultato".
Questo libro e la fondazione dedicata a Giulia sono un fattivo contributo.
Mia figlia sapeva che volessi acquistarlo e me lo ha regalato per Natale. 
Lo regalerò ad altri, lo presterò ad amici e parenti. 
Farò circolare il messaggio positivo di questo papà e della sua splendida figlia, che mi piacerebbe stringere in un abbraccio come fossimo amici da sempre. 

So che richiede un incredibile sforzo, ma cercherò di onorare l'appello di questo volume: "Rispondere con un sorriso anche ai drammi più schiaccianti".

Quello che mi spiace è che dietro questa perla dell'editoria ci sia una storia tanto triste.
A firma di un ragazzo che si chiama Filippo, belva violenta vittima della sua smania di possesso. Filippo ha disonorato tutto, perfino il suo nome, che significa amante dei cavalli. Lui ne aveva uno vincente tra le mani e, oltre a non avergli saputo rendere onore, l'ha addirittura oltraggiato, fermandone la corsa. 

mercoledì 30 ottobre 2024

IL TEMPO, UN BENE PREZIOSO, AL CENTRO DEL NUOVO LIBRO DI MARIO CALABRESI.

Ieri, oggi e domani. Sono passato, presente e futuro. Tempi diversi della nostra vita, nei quali a ognuno di noi, più o meno consapevolmente, accade di sprecare minuti preziosi in faccende futili, dedicandoli a persone che non meritano la nostra attenzione, oppure impiegandoli in occupazioni che ci rubano attimi di vita.

Nel suo ultimo romanzo edito da Mondadori nella collana Strade Blu, intitolato “Il tempo del bosco”, Mario Calabresi offre interessanti spunti di riflessione per riappropriarci del nostro tempo. Rallentare anziché correre, riflettere e dare la giusta importanza alle parole, ai gesti e perché no, anche al silenzio: dovremmo farlo tutti.

Il volume è suddiviso in 19 capitoli, con titoli differenti di cui è piena la nostra esistenza. Si parte dall’ansia per concludere con la leggerezza, transitando per la fiducia, l’osservazione, la gratitudine e, fulcro del libro, il bosco. 

A dare il la alla scrittura di questo libro è stata la richiesta di una ragazza.

Non ne conosciamo il nome, sappiamo solo che, in un pomeriggio di fine inverno, la giovane si è avvicinata all’autore al termine di un incontro svoltosi presso una facoltà di medicina, il cui tema era appunto l’importanza del tempo.

L’accelerazione delle nostre giornate è continua; si inizia a correre al mattino e si arriva alla sera spossati, frastornati e soprattutto dubbiosi: a chi serve tutta questa fretta?

Anche quella giovane si sente inadeguata e succube della frenesia. Studia medicina, sta per laurearsi, ha un buon curriculum di studi, ha perfezionato la sua conoscenza dell’inglese. Legge molto, tutto quanto le viene suggerito. A fine giornata ha giusto il tempo per concedersi qualche ora di sonno. Eppure, nonostante i suoi sforzi, vede che le sue compagne di studio fanno anche volontariato, sport, esperienze all’estero. Le viene consigliato di imparare anche una lingua aggiuntiva.

“Come si fa?" - chiede la giovane a Calabresi. "Come si può fare tutto e tenerlo insieme? Io mi sento inadeguata e vedo che l’asticella è sempre più in alto. Troppo in alto”.

L’ansia che divora questa giovane è la stessa che fagocita la nostra società. Che scandisce la quotidianità di ciascuno di noi, impegnato a stare in equilibrio tra le mille richieste, notifiche dei dispositivi elettronici, memorandum familiari e non, scadenze varie. 

Senza che ci sia mai un attimo di tregua, perché ormai siamo sotto pressione anche mentre dormiamo.

Calabresi ha ascoltato questa ragazza in lacrime e le ha risposto di non sentirsi in colpa se non riusciva a raggiungere tutti gli obiettivi. “È più importante imparare a scegliere e avere coraggio di rinunciare a qualcosa, senza troppi rimpianti”.

Una frase bellissima, che tuttavia è difficile mettere in pratica, specie se si è maniaci del perfezionismo.

Eppure, talvolta, è il primo no quello più difficile da dire, soprattutto se chi lo pronuncia è abituato a rispondere sempre assertivamente. Rotto il ghiaccio, i successivi rifiuti arriveranno quasi a cascata. 

“Non ho tempo” è una frase generica, che presuppone un suo completamento.

Non ho tempo per te, perché preferisco dedicarlo ad altri.

Non ho tempo da perdere, perché le mie priorità sono più importanti delle tue.

Non ho tempo per soddisfare questa richiesta, perché i miei progetti vanno in direzione contraria.

Talvolta, non è nemmeno il caso di motivare il rifiuto. Semplicemente, non ho tempo per te, preferisco dedicarlo a me.

Non si può essere altruisti a vita, calpestando il proprio ego per soddisfare quello di qualcun altro.

Si arriva  ad un eccesso di zelo che rasenta la devozione e fa sorgere mille dubbi: è corretto quello che sto facendo o dovrei impegnarmi ancora di più? Sono gli stessi dubbi che hanno assalito la ragazza di cui Calabresi parla nel primo capitolo.

Per rispondere alle domande di quella giovane, l’autore ha intervistato numerose persone, che raccontando la loro vita hanno spiegato chiaramente come non si possa fare tutto, ma sia molto più saggio scegliere cosa fare bene.

Forse, dovessi scegliere il mio capitolo preferito di questo libro, punterei il dito su quello dell’entusiasmo, che narra la vicenda di Guido Calabresi (stesso cognome ma nessuna parentela con l‘autore), uno dei più illustri giuristi americani. A  92 anni, insegna ancora alla Yale Law School, di cui è stato il professore più giovane, essendo salito in cattedra all'età di 29 anni. Da docente a preside, in seguito giudice, oggi l'uomo ha una salute ballerina, ma continua a vivere con entusiasmo.

Forse la vera risposta sul mio segreto è che mi diverto” è la sua frase conclusiva dell’intervista.

Un risultato che tutti dovremmo cercare di raggiungere, ricordandoci anche quanto affermava la signora Maria, la nonna di Calabresi, ovverosia che bisogna essere gentili con gli altri ma prima di tutto con se stessi. Se ci perdiamo una notifica, un tweet un post, un messaggio whatsapp poco male: ci saremo ritrovati noi.

Il decimo capitolo, quello intitolato “L’importanza” è un altro passaggio stupendo. Ci spiega come l’essere multitasking e succubi della tecnologia sia dannoso, come il concatenarsi di messaggi che arrivano al nostro cervello distolga la nostra attenzione dalla richiesta originaria. 

A ciascuno di noi sarà capitato di entrare in una stanza e, interrotto strada facendo, non ricordare per quale motivo vi ci fosse recato. Oppure di entrare al supermercato per acquistare un prodotto ed uscirne con un carrello della spesa pieno di molti altri, senza quello che ci aveva spinti ad entrare nel negozio. 

Vi riconoscete in questi esempi? Sono i risultati della pressione continua cui siamo esposti. 

Non sono una studiosa, ma sono convinta che l’incremento delle patologie mentali (Alzheimer, demenza senile) cui stiamo assistendo negli ultimi anni, sia anche dovuto allo stile di vita frenetico delle nostre giornate. 

Calabresi ha staccato la spina nell’eremo di Camaldoli, dove ha vissuto per due giorni con i monaci, senza tecnologia, per comprendere il loro rapporto con la foresta, il mistero e il silenzio. A Firenze, invece, ha incontrato un uomo di quasi 105 anni, il dottor Fabio Clauser, che ha fortemente voluto la riserva di Sasso Fratino per tutelarne il patrimonio boschivo. Un uomo che ha dentro di sé il tempo del bosco (da cui il titolo del libro), che ha scelto di usare la sua energia per fare ciò a cui teneva davvero. Che ha riempito la sua intera esistenza di significato.

Forse, la risposta alla domanda della laureanda si può sintetizzare in una semplice frase: “Per non farsi travolgere dall’ansia, ciascuno di noi deve prendersi il giusto spazio per esistere”. 

E anche il tempo per leggere questo libro meraviglioso, ennesimo capolavoro di un autore che da anni è in cima alla mia top ten e non mi delude mai. 

In libreria e su Amazon: https://amzn.to/3C4msUl

martedì 20 agosto 2024

MAI FAR ARRABBIARE UNA DONNA. SI RISCHIA DI RISVEGLIARE IL KILLER CHE È IN LEI.


Trasuda rabbia da ogni pagina "Non imparano mai" di Layne Fargo, edito da Mondadori, un thriller psicologico che fin dalla copertina - raffigurante un coltello insanguinato racchiuso in una ciocca di capelli rossi - promette di inchiodare il lettore alla poltrona.

A trainare il racconto è il feroce risentimento che Scarlett Clark, docente di letteratura alla Gorman University, prova verso chi si rende  protagonista di soprusi e atti di violenza nei confronti di colleghe e studentesse del campus.
Non deve per forza trattarsi di un abuso sessuale perpetrato, anche se quello è l'atto che la fa andare su tutte le furie.
Un approccio respinto, un rapporto non consenziente consumato, una prevaricazione maschile nei confronti di un'esponente del gentil sesso scatenano la vena omicida di Scarlett.
Nessuno si rende conto che sia lei l'assassina perché la donna è abile nel dissimulare, trasformando gli omicidi in ipotetici suicidi: oltre che un'apprezzata professoressa è la regina dei killer, non lascia mai tracce che possano ricondurre alla sua colpevolezza. Ma da dove proviene la rabbia che ha accumulato dentro il suo corpo? Chi è realmente Scarlett e cosa le è successo per indurla a ricorrere alla giustizia privata anziché affidarsi a quella pubblica?
Il colpo di teatro non tarda a fare la sua comparsa: il lettore si renderà presto conto che i nomi delle principali protagoniste del libro sono tre, ovvero Allison. Carly e Scarlett, ma i conti non tornano. Perché?
Non spetta certo a me svelarvene la ragione, vi rovinerei la sorpresa.
Vi anticipo solo che il libro è avvincente fino all' ultima pagina e, anche se Scarlett altro non è che una pazza paranoica, vi troverete probabilmente a fare il tifo per lei, preoccupati che venga smascherata.
Tranquillizzatevi: neanche un'indagine serrata delle autorità riuscirà ad incriminarla. Anzi, un'alleanza femminile servirà a scagionarla, lasciandola libera di iniziare altrove una nuova vita.
Un'esistenza decisamente più felice della precedente, ma non per questo meno cruenta: la sete di sangue e giustizia di Scarlett continuerà a farle compagnia e lei sarà pronta a cercare nuovi bersagli per appagarla.
Se volete leggerlo, è disponibile anche su Amazon:

venerdì 16 agosto 2024

IN VACANZA NIENTE SETTIMANA ENIGMISTICA, MA UN BEL ROMANZO PIENO DI DEFINIZIONI E NON SOLO


Anche se talvolta non sappiamo dove siamo diretti, è imprescindibile, per ciascuno di noi, capire da dove veniamo.

Saperne di più dell'albero genealogico della propria famiglia, conoscere le proprie radici, è curiosità ampiamente diffusa.

Così è per Clayton Stumper, abbandonato alla nascita, in una cappelliera, dinnanzi al portone di Craighton Hall, una villa ai confini del Bedforshire dove ha sede la "Compagnia degli enigmisti", cui deve il titolo il romanzo di Samuel Burr edito da Longanesi.

A trovarlo, dinnanzi all'ingresso, è stata Philippa Allsbrook, la fondatrice e presidente della Compagnia, che lo ha cresciuto insieme agli altri membri dell'eccentrico gruppo che annovera al suo interno menti eccelse con peculiarità diverse: sciaradisti, ideatori di rebus, labirinti ed enigmi. 

Clayton ha 25 anni quando Philippa, per tutti Pippa, muore. Durante la veglia funebre, decide che sia ora di conoscere tutto ciò di cui non ha mai saputo nulla: vuole mettere il naso fuori dalla Compagnia, capire come sia arrivato fin lì, chi siano i suoi genitori e perchè non l'abbiano tenuto con loro.

La sua ricerca, anche se Pippa è deceduta, è comunque guidata da una serie di indizi che la donna, presagendo la sua morte, ha disseminato ovunque, a partire da una misteriosa scatola lasciata in eredità al ragazzo. Clayton approderà in più posti e mentre andrà alla ricerca del suo passato, nel suo presente giungeranno emozioni inaspettate, che gli faranno vivere sentimenti fino ad allora mai provati.

Il romanzo alterna capitoli della ricerca di Clayton ad altri che raccontano la vita della Compagnia. Ci presenta gli stravaganti personaggi che la compongono e le problematiche di una vita in comune di persone diverse fra loro, che fanno ormai parte della terza età. Uomini e donne che hanno trascorso gran parte della loro esistenza insieme, nascondendosi reciprocamente segreti e misteri.

Il tutto è inframezzato da definizioni, anagrammi e altri giochetti enigmistici, ma il lettore che si appresta a leggerlo non deve preoccuparsi, perchè il romanzo è alla portata di chiunque. Non serve essere cruciverbisti esperti per goderselo, tutto è ben spiegato nelle varie pagine. 

Durante la lettura il motto della compagnia ovvero "venni, vidi, risolsi" vi appassionerà sicuramente. Piacevole anche il segnalibro enigmistico e il cruciverba che sarete in grado di risolvere dopo aver letto tutto con attenzione. 

Io, come spesso accade, ho personalizzato la lettura, reintepretando il motto di questi bislacchi enigmisti, trasformandolo in "lessi, apprezzai e recensii". Ora tocca a voi, se vi va, immergervi nella lettura e trarre le vostre conclusioni. Per capire se questo volume possa rientrare, come nel mio caso,  nel novero di quelli che meritano di essere letti e recensiti anzichè abbandonati sul comodino a prendere polvere. 

Se lo cercate su Amazon, ecco il link:

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martedì 21 maggio 2024

COME SI FA A VOLERSI BENE? CON WITT, PRENDENDOSI CURA DI SE STESSI E DEL MONDO.

Dicono che si impari dai propri sbagli e probabilmente è vero, ma si apprende molto anche da chi ne sa più di noi.

Così, nei giorni scorsi, sono stata invitata da Witt Italia, azienda di Poirino di cui sono consulente da circa un anno, a partecipare ad un interessante corso di formazione.


Non sto a raccontarvi le mille attenzioni di cui sono stata fatta oggetto, dai pasti al pernottamento in hotel, fino al gradito omaggio prima del congedo.
Quello che mi preme sottolineare, invece, è che, in un mondo fatto sempre più di apparenza, falsità e finzione, esistano ancora delle belle realtà, tutte italiane, che pensano a garantire benessere al prossimo senza raccontare bugie.
Ci sono molti modi per farlo: Witt lo fa diffondendo serenità in azienda (dovreste sentire che profumo di oli essenziali si respira già nelle scale di ingresso, senza contare i prodotti a disposizione gratuitamente nei bagni, dai saponi profumati alle creme mani). 
Al contempo, Witt riserva premure ai suoi dipendenti, che lavorano sorridenti in ambienti luminosi e puliti, dagli uffici al reparto produttivo fino al magazzino, ma anche ai loro figli. 

Witt è infatti l'unica azienda nel settore della chimica che ha un micronido interno i cui utenti vengo educati al rispetto dell'ambiente e del prossimo. Se ci fossero problemi di contaminazione e inquinamento il micronido non sorgerebbe proprio a fianco del reparto produttivo, no?
Anche questa è una garanzia fondamentale, di trasparenza e serietà.
Le stanze del nido hanno riscaldamento a pavimento, i bimbi iscritti praticano pet therapy e yoga e anche chi non lavora in azienda può portarci i propri figli, perché il  servizio non è esclusiva solo dei dipendenti.
La produzione aziendale si avvale di varie fasi (che abbiamo potuto visionare attraversando i vari reparti) che contemplano studi, sperimentazioni e controlli. Avviene in ambienti con diffusione di musica a 432 hertz, che infonde energia positiva favorendo il riequilibrio psicofisico. L'acqua utilizzata viene attivata dall'energia derivante dai cristalli. 
Il fondatore dell'azienda ha anticipato, già nel 1970, un termine che oggi è molto di moda: la sostenibilità. 

Se tutto questo vi sembra poco, sappiate che WITT produce un'ampia gamma di prodotti, dalla detergenza (bucato e pulizia casa) alla cosmetica, senza dimenticare integratori, creme,  oli essenziali e i cosiddetti prodotti Home, ovvero una sezione caratterizzata da diffusori per profumare gli ambienti e i tessuti. Tutto è privo di oli minerali e sintetici, coloranti, parabeni, siliconi, peg, enzimi e altre sostanze nocive e le numerose certificazioni ottenute negli anni lo garantiscono nero su bianco. Grande attenzione è riservata anche ai 4 zampe, con una linea appositamente dedicata agli animali.

Greenpeace ha rilevato che dal 1930 ad oggi sono state prodotte oltre 400 milioni di tonnellate di sostanze chimiche generate dai prodotti che utilizziamo per pulire casa. Le attività domestiche che per ogni massaia sono routine generano sostanze chimiche volatili e particellari che inquinano l'aria domestica ed esterna. Lo sapete cosa respiriamo? Pensiamo di avere la casa pulita ma non sappiamo quanto ci stiamo sporcando i bronchi. 

Voi penserete che è normale che io parli bene della Witt, d'altronde ne sono consulente. In realtà io consulente lo  sono diventata dopo esserne stata a lungo consumatrice (e continuo a farlo), mentre prodotti di altre aziende che non mi convincevano li ho nel frattempo abbandonati per strada.
Ho scelto di riservarmi attenzioni premiando chi mi garantisce la naturalità che ho sempre cercato. 
E non ho avuto difficoltà a trovare ciò che fa al caso mio perchè, come ha simpaticamente commentato una delle ns formatrici, Witt "ha tutto ciò che serve, dal gatto al nonno". Vi sfido a trovare qualcosa che non faccia al caso vostro tra gli oltre 350 prodotti a catalogo.
Una carrellata, anzi.. un carrello, di prodotti Witt Italia

Più che una sfida, in realtà, il mio è un invito a volervi più bene, riservandovi quelle attenzioni che un olio corpo, una crema viso, un integratore, un bucato profumato ma senza impatto sull'ambiente possono regalarci. Perché sbagliando si impara, sì, ma soprattutto si capisce quanto sia importante che benessere e bell'essere vadano a braccetto.
Abbiamo tutti bisogno di stare bene, ma spesso non sappiamo che i risultati migliori li possiamo ottenere soprattutto indirizzando le nostre scelte a favore di chi dimostra con i fatti, anzi, con i prodotti, che un approccio più naturale alla risoluzione dei problemi non è fantascienza ma realtà. Davvero una bella realtà, TUTTA ITALIANA, anche questo un vanto non da poco che dovrebbe renderci consumatori attenti e anche orgogliosi. 

domenica 28 aprile 2024

LA GRANDE SAGGEZZA DI CRISTINA MITTERMEIER: QUANDO IL BELLO CHE CI CIRCONDA E' "ABBASTANZA"

Quando splende il sole, ogni occasione è buona per stare all'aperto.

Se il tempo è inclemente e le temperature anche, spesso si ripiega invece sulla visione di un film al cinema o la visita ad una mostra.
In questi giorni  di ponte, ho scelto di dedicare il mio tempo libero ad  entrambe le attività.
La visione di "Back to black",  trasposizione cinematografica della vita di Amy Winehouse,  ha lasciato in me un po'  di pena per la prematura scomparsa dell'artista, ma il film merita comunque di essere visto, è molto bello. 
Sono invece uscita letteralmente estasiata dalla visita de "La grande saggezza",  esposizione della fotografa messicana Cristina Mittermeier, che è anche biologa marina e attivista, ospitata dalle Gallerie d'Italia di Piazza San Carlo 156 a Torino fino al 1 settembre 2024.
La Mittermeier, Mitty per gli amici, ci mostra la bellezza dell'intero planisfero. In 30 anni di lavoro ha visitato oltre 130 paesi, documentando le sue trasferte con migliaia di scatti di ogni angolo del pianeta. Ha fermato il tempo con le sue immagini, che spaziano dalle popolazioni indigene alle balene, senza trascurare la bellezza dei panorami incantevoli offerti dalle distese di ghiaccio, dall'aurora boreale e molte altre meravigliose raffigurazioni nelle quali la fauna fa la parte del leone.






Nella mostra l'artista lancia un appello alla salvaguardia del pianeta e invita alla riflessione su cosa il termine "enough", ovvero abbastanza, significhi per noi. 
In una società che troppo spesso punta esclusivamente sull'apparire e sul possesso dei beni materiali, forse non tutti riescono a capire che spesso si vive meglio con poco, se si è consapevoli di ciò che quel poco rappresenti per noi.
Il pianeta lancia un grido per proseguire la sua sopravvivenza e quel grido Cristina lo ha raccolto per rilanciarlo a noi amplificato, grazie alla potenza dei suoi scatti.

"La bellezza è ovunque, in ogni cosa, se siamo aperti a vederla" è uno dei messaggi che compaiono sullo schermo al piano inferiore dell'allestimento,  dove si viene fagocitati da una mostra immersiva subacquea, circondati da un video che riproduce delfini, pesci di ogni sorta, squali e tartarughe. Non si può rimanere indifferenti di fronte alle foche che sembrano mettersi in posa dinnanzi all'obiettivo o ai tuffi dei pinguini che a me hanno ricordato giochi d'acqua di bimbi felici al mare. 

Giochi di pinguini


Foche in posa


"Credo che ciascuno di noi su questo pianeta nasca con un intenso amore e curiosità verso la natura e la vita selvatica" prosegue l'artista. 
La sua mostra soddisfa tutta la nostra curiosità, ma senza dubbio ognuno di noi alla nascita riceve in dote anche una copiosa dose di responsabilità per preservare quello che invece stiamo distruggendo. 
Dovremmo pensarci non solo dinnanzi alle foto, ma anche quando abbiamo in mano una carta che distrattamente lasciamo cadere a terra, un mozzicone che lanciamo dal finestrino della vettura in corsa, quando inquiniamo l'ambiente senza preoccuparci di chi verrà dopo di noi o affrontiamo la società con menefreghismo e maleducazione. 
La bellezza non è eterna;  non parlo esclusivamente di quella dei lineamenti umani, snaturata dal passare del tempo. Mi riferisco a quella del mondo che ci ospita.

Andate a visitare la mostra e gli altri allestimenti che le Gallerie d'Italia ospitano (fantastico anche il piano nobile con le sue opere pittoriche e scultoree) e  ricordatevi che, a volte, anche una giornata senza sole può essere "abbastanza", specialmente se quello stesso giorno qualcuno non ha più la fortuna di viverlo e noi sì. 

Il piano nobile 



















Io dico grazie a Cristina MIttermeier per il suo impegno nella salvaguardia del pianeta e l'attenzione alla sostenibilità ambientale, che arrivano dritto al cuore dei visitatori, grazie ad un linguaggio visivo che non necessita di alcuna traduzione. 
Perché se una foto può essere  sufficiente a ricordarci le nostre responsabilità, figuriamoci che messaggio può arrivarci quando giunge da un'intera mostra che, mentre appaga lo sguardo, ci sensibilizza sui nostri doveri.